domenica 5 maggio 2024

Nuovi soldati

 

Nel 1915-1918, le donne lavorarono e mantennero il paese in funzione sostituendo gli uomini che partivano per combattere. Appena finite le ostilità tornarono alle loro case, madri prolifiche e spose obbedienti. Nel 1940-1945, accadde la stessa cosa, ma infine fu concessa loro una ricompensa che era solo una legittima prerogativa: votare. Il voto è così importante per cambiare la società che ci sono voluti decenni per un diritto di famiglia decente e 36 anni prima che il superbonus dell’omicidio, il delitto d’onore, fosse cancellato dal codice. Adesso possono fare anche il soldato. I cannoni ruggiscono, si invocano nuove coscrizioni, le ragazze hanno il diritto all’uguaglianza.

“Sono un soldato” (con la scaletta).

Ah, la democrazia. Quanto amiamo questa parola, quanto ne siamo orgogliosi. Ne riempiamo i nostri discorsi come la mozzarella sulla pizza. Questa parola, democrazia, la senti come scorre bene sotto la lingua, quanto tempo rimane in bocca. La succhiamo come una caramella, democrazia, democrazia, esaminando i nostri sondaggi, contando le nostre schede, verificando che al telegiornale ci siano tanti degli uni e tanti degli altri (neanche più questo è vero). Tanti poveri quanto tanti ricchi. Ah, no, sto scherzando. Un’altra parola squisita che ci piace far risuonare nelle nostre frasi è “costituzione”, con il suo strascico di uguaglianza, di libertà. Di fratellanza. Ah, no, sto scherzando ancora.

A proposito di fratellanza, ora che hanno risolto la questione di Gaza, americani, russi, inglesi, francesi e, perché no, italiani, risolveranno anche quella ucraina. Una questione, la guerra, che per noi è diventata noiosa come la pioggia. Fin dove si spingeranno, fino a quando li lasceremo fare? Possibile non comprendere che per provocare una catastrofe è sufficiente armare gli idioti? Basterà l’ultima goccia di sangue degli altri, o li lasceremo fare fino a quando tutto quel mondo di pacifica bellezza che, malgrado tutto, per noi esiste ancora, non ci crollerà addosso?

sabato 4 maggio 2024

Dazi

 


A Venezia chiedono cinque euro per entrare,
a P. Marghera 43 anni di contributi per uscirne. 

venerdì 3 maggio 2024

Il capitalismo cinese e quello degli altri

 

I cinesi lo hanno capito prima di noi e molto meglio. L’economia è soprattutto materie prime, energia, acqua, terra fertile e tecnologia. Anche gli americani lo sanno bene: shale gas e petrolio stanno rendendo gli Stati Uniti un esportatore netto di energia, e se ne fottono che il metano ha un potere riscaldante 23 volte maggiore di quello della CO2 (*).

Dunque la chiave dell’economia non è la generica “competitività” di Mario Draghi ed Enrico Letta, entrambi autori, nelle ultime settimane e con grande soddisfazione degli imbecilli di Europa, di un rapporto inteso a consentire all’Unione europea di competere ... con la Cina!

Per comprendere appieno l’enormità della bugia: a un operaio italiano quanti stipendi pieni mensili costa un’auto elettrica europea? Niente panico, i dazi e i bonus risolveranno tutto.

Dei democratici decadenti in gara con i cinesi? Mario Draghi ed Enrico Letta ne hanno mai conosciuto uno di questi cinesi? Il capitalismo cinese non è banalmente un capitalismo di Stato, né un comunismo che ha scelto la “retta via”. La Cina è “decisamente” un paese capitalista “su tutti i fronti” (Branko Milanovic, Capitalismo contro capitalismo, Laterza, p. 115).

Alla fine del 2019, poco prima del Covid, più di 27.500 aziende cinesi avevano investito in 188 paesi (l’ONU ne contava 197). La cosa divertente è che taluni continuano a classificare la Cina come un “paese emergente”.

Le “nuove vie della seta” si ispirano a quelle antiche (ma non solo), attraverso le quali transitavano seta, porcellana e giada verso l’Europa. Per la Cina si tratta di acquisire e costruire enormi infrastrutture, porti e ferrovie. Anche in Europa: il porto del Pireo in Grecia, il 90% del porto di Zeebrugge (Belgio), il 35% del porto di Rotterdam (Paesi Bassi), il 20% del porto di Anversa (Belgio), il 25% del porto di Amburgo. Quindi la linea ferroviaria veloce Budapest-Belgrado e persino la costruzione da parte di un consorzio cinese di un ponte stradale in Croazia, però finanziato dall’UE.

È stato ad Astana (nel 2017 ha ospitato l’Esposizione Universale dell’Energia), capitale del Kazakistan (ex Urss), che Xi Jinping ha pronunciato il discorso fondativo di questo programma. Il Kazakistan, che roba è? È nove volte l’Italia, membro dell’Unione economica eurasiatica (UEE), cioè un’unione con Russia, Bielorussia e Armenia, ed è il più importante produttore ed esportatore di petrolio nell’ambito della Comunità di Stati indipendenti (CSI).

Il Kazakistan possiede circa il 60% delle risorse minerarie dell’ex Unione Sovietica; in questa regione chiave tra Europa e Asia, una delle più lontane dal mare, e quindi dagli scambi commerciali, la Cina pratica la “diplomazia dei gasdotti” con la costruzione di gasdotti al servizio quasi esclusivo di Pechino. Tra parentesi: nel gigantesco campo di Karachaganak (gas e petrolio), estraggono Eni e Shell (co-operatori), Chevron e la compagnia russa Lukoil. La UE si balocca ancora con le “sanzioni” alla Russia!

In Africa, il Regno di Mezzo sta portando avanti la “diplomazia del debito”. Acquista intere regioni, fa costruire strade e ferrovie da aziende cinesi che impiegano manodopera proveniente dal paese, che è il destinatario quasi esclusivo dell’esportazione di riso o dei cereali raccolti. Man mano che Pechino anticipa tutto il denaro, i paesi “beneficiari” (indebitati) diventano, per decenni, i suoi debitori. Un film già visto in passato, mi pare, ma con altri attori protagonisti.

Per Pechino si tratta di offrire ai Paesi interessati un’alternativa agli Stati Uniti, giocando sulle divisioni dei Paesi membri della cosiddetta “Unione” europea. È così che, nel 2021, nel pieno della crisi del programma nucleare iraniano, la Cina ha firmato un accordo venticinquennale di “cooperazione strategica” con la Repubblica islamica, sempre secondo la stessa logica: investimenti cinesi contro il petrolio iraniano ad un prezzo stracciato.

In breve, la Cina pratica un capitalismo semplice ed efficace: possiede risorse minerarie, agricole, infrastrutture, tecnici di livello e manodopera obbediente, rende dipendenti i Paesi attraverso il debito, inondando al contempo quelli europei e americani di tutto ciò che produce. Lo so che la Cina se la passa male (difficoltà del settore immobiliare e non solo) e forse un giorno crollerà. In attesa di questo ipotetico collasso, tanto sognato da alcuni, si sta comprando mezzo mondo.

L’unica cosa che si può concedere a riguardo delle difficoltà della Cina è che essa dovrà affrontare le contraddizioni tipiche del capitalismo. Per esempio, dal febbraio scorso, per dare fiato agli investimenti, ha abbassato il tasso di riserva obbligatoria, ovvero la quota di depositi che le banche sono tenute a tenere nelle proprie casse, e questa è già la sesta volta che il governo abbassa questo tasso da luglio 2021. Ciò nonostante l’indice dei direttori degli acquisti (PMI), che riflette la salute del mondo industriale, è entrato in territorio positivo solo una volta in sei mesi (50,8 a marzo da 49,1 a febbraio, superando il livello di 50 che separa la crescita dalla contrazione e raggiungendo il valore più alto da marzo 2023).

Dovrà affrontare anche altre sfide la Cina, tipiche della nostra epoca, quali quella demografica, e ancor più impegnativa è la partita con gli Usa, con il desiderio di Washington di cancellare la Cina come potenza economica e militare dalle mappe. Con la lieve differenza che non siamo più nel XIX secolo.

(*) Dopo il suo insediamento, l’amministrazione Biden ha dichiarato che “metterà la crisi climatica al centro della politica estera e della sicurezza nazionale degli Stati Uniti”. Inoltre, l’amministrazione Biden vedeva il cambiamento climatico anche come un mezzo con cui gli Stati Uniti potevano tornare a riconquistare la leadership globale (vedi l’Inflation Reduction Act).

Tuttavia i numeri dimostrano altro. Anche se con l’Inflation Reduction Act sono stati stanziati ingenti fondi per lo sviluppo delle energie rinnovabili, il numero di nuovi parchi eolici e solari costruiti negli Stati Uniti nel 2022 è in realtà diminuito rispetto al 2021 del 16%.

Più di 8.100 progetti energetici negli Stati Uniti sono in attesa di autorizzazione per connettersi alla rete elettrica e il tempo di attesa è di quattro o cinque anni. In molte località degli Stati Uniti le reti elettriche funzionano già a pieno regime e per collegare nuovi impianti è necessario ammodernare un intero sistema di trasmissione.

Il New York Times ha scritto che anche se l’attuale Congresso degli Stati Uniti manterrà tutti i sussidi promessi, le emissioni di gas serra degli Stati Uniti saranno ridotte solo di circa il 25% entro il 2030 rispetto al 2005, molto al di sotto dell’obiettivo fissato del 50%.

In particolare, per quanto riguarda i veicoli elettrici, gli Stati Uniti non pensano che vi sia di per sé un problema con tali veicoli, ma che esista un problema con il dominio della Cina nel campo dei veicoli a nuova energia.

Secondo il rapporto 2024 dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili la quota delle stesse ha raggiunto l’86% nel 2023, rispetto all’84% nel 2022. Anche la quota rinnovabile della capacità elettrica totale è aumentata di quasi tre punti percentuali, passando dal 40,4% nel 2022 a 43,2% nel 2023.

Nel 2023, i paesi del G7 (esclusa l’UE) rappresentavano il 25,3% della capacità globale di energie rinnovabili (solare, eolico, biomasse, ecc.), con un totale di 980 GW. I paesi del G20 (esclusi UE e Australia) rappresentano il 79,7% della quota globale con una capacità totale di 3.084 GW. Rispettivamente i paesi del G7 e del G20 rappresentano il 14,7% e l’87,2% delle nuove capacità nel 2023.

Sempre per quanto riguarda le energie rinnovabili, l’Asia ha rappresentato ancora una volta la maggior parte della nuova capacità nel 2023 (69,3%), aumentando la sua capacità rinnovabile del 327,8 GW per raggiungere 1.961 GW (50,7% del totale globale). La maggior parte di questo aumento si è verificata in Cina (+297,6 GW). La capacità in Europa e Nord America è aumentata rispettivamente di 71,2 GW (+10,0%) e 34,9 GW (+7,0%).

Energia solare: energia solare fotovoltaica ha rappresentato quasi tutto l’aumento della produzione di energia elettrica nel 2023, con un aumento del solare fotovoltaico di 345,5 GW. L’espansione in Asia è stata di 237,7 GW nel 2023 (rispetto a +110,7 GW nel 2022). Il 91,2% dell’espansione è avvenuta in Cina (+216,9 GW) e India (+9,7 GW). Anche il Giappone aggiunti 4,0 GW, in lieve diminuzione rispetto al 2022. Al di fuori dell’Asia, gli Stati Uniti hanno aggiunto 24,8 GW di energia solare capacità nel 2023, Germania e Brasile hanno aggiunto 14,3 GW e 11,9 GW rispettivamente.

Energia eolica: con un incremento di 116,0 GW nel 2023, la crescita dell’energia eolica ha visto il suo maggiore incremento negli ultimi dieci anni. La Cina ha rappresentato quasi i due terzi di questa espansione (+75,9 GW) e capacità negli Stati Uniti è aumentata di 6,3 GW.

Biomasse: l’espansione della capacità della bioenergia è rallentata nel 2023 (+4,4 GW rispetto al +6,4 GW nel 2022). Capacità bioenergetica in Cina è aumentata di 1,9 GW e altri paesi con i maggiori incrementi sono stati il Giappone (+1,0 GW), il Brasile (+0,4 GW) e Uruguay (+0,3 GW).

Al momento, la Cina ha costruito il più grande sistema di alimentazione elettrica e di generazione di energia pulita del mondo (lo dico per gli alunni di terza elementare: ciò non significa che le sue produzioni basate sul carbone e gli idrocarburi non inquinino), e le sue nuove tecnologie energetiche e i livelli di produzione di apparecchiature e di veicoli a nuova energia, batterie al litio e prodotti fotovoltaici, sono tra i leader mondiali.

Pechino ospita fino a domani l’International Auto Show. Ci sono 278 nuovi modelli in mostra, ma Tesla non ha partecipato. Non partecipa alla fiera perché non lancia un nuovo modello da molto tempo. Di fronte a un ambiente competitivo in cui i marchi nazionali di veicoli a nuova energia lanciano uno dopo l’altro nuovi prodotti e nuove funzionalità, Tesla si trova in svantaggio.

Con la visita in Cina dei giorni scorsi, Musk spera di cooperare ulteriormente con la Cina nel campo della guida autonoma. Tesla ritiene che questo sarà un nuovo punto di crescita per l’industria dei veicoli elettrici.

Draghi, Letta e altri, invece di parlare di competizione e dazi, ragionassero in termini di cooperazione (la storia delle Repubbliche marinare nei loro rapporti con l’oriente dovrebbe insegnare qualcosa), sempre che i loro amici di Washington e quelli di Wall Street glielo consentano.

giovedì 2 maggio 2024

Basta la parola

 

In un momento storico in cui, ovunque nel mondo, comprese le democrazie ritenute più immuni alla peste fascista, l’estrema destra si sta affermando come un’alternativa politica accettabile, quando non è già al potere, si sta banalizzando pericolosamente la realtà storica del fascismo, la sua ideologia, i suoi attori, i crimini e le atrocità da loro commesse.

Più ancora che attraverso certe smargiassate mediatiche, ciò avviene in modo perfidamente subliminale. Piaccia o no, il rifiuto di prendere una chiara posizione contro il fascismo è gravido di conseguenze. La negazione impone la sua legge nella memoria collettiva. Fa anche parte di un modo molto contemporaneo di condurre il dibattito, o meglio di chiuderlo.

E invece è opportuno ricordare l’intervista di Filippo Focardi a De Felice (La guerra della memoria, Laterza), il quale auspicava una storicizzazione del fascismo (“possiamo ragionare, informarci, parlare del fascismo con più serenità”), implicando il superamento del mito antifascista e una riforma istituzionale che deve comportare l’abolizione delle norme costituzionali che vietano la ricostruzione del partito fascista.

Molti credono che il fascismo sia come la cavalleria nel Don Chisciotte, ossia che non tornerà più. Si dice che nelle sue concretizzazioni storiche non risponda più a una realtà come quella odierna, dunque che la parola è sopravvissuta alla cosa. Si sbagliano oggi come allora:

“Il fascismo, come ordine politico, è finito: le sue strutture esteriori, le colonne di cartapesta e gli archi di falsa antichità, lo sappiamo, non torneranno mai più. [...] Ma resta l’usanza sotterranea; circola, serpeggia, fermenta: alimenta altri furti, incoraggia altre prepotenze, dà origine ad altre oppressioni” (Piero Calamandrei, Per la storia del costume fascista, Il Ponte, 1952, VIII/10, p. 1337-1348).

I fascisti non sono scomparsi da un giorno all’altro, la radice del totalitarismo fascista affonda nel corpo sociale della nazione, dove esistono privilegi che non vogliono cedere il passo alla giustizia sociale. Un “sommerso” che ha sempre guardato all’esperienza fascista in maniera indulgente, addirittura benevola, che si alimenta di meschinità mentale, egoismo e chiusura. L’anacronismo è solo apparente, il fascismo va oltre l’epoca che lo ha generato ed è poco compreso perché poco conosciuto e intanto guadagna terreno.

Meloni e i suoi camerati hanno avuto la capacità, a loro congeniale, di opporsi a tutti i governi che si sono succeduti dal 2012. Facendo leva sul malcontento sociale, sono tornati al potere senza orbace e sfruttando una legge targata Pd che è una combinazione di voto proporzionale e maggioritario, che dà un premio significativo alle coalizioni.

Come disse Almirante, bisogna imparare ad “essere fascisti in democrazia”. Prendono le distanze dagli aspetti più ignominiosi del regime fascista, in particolare dalle leggi razziali e dalla guerra (ma il razzismo non è un inciampo e la guerra non è un incidente, sono lo sbocco naturale del fascismo), ma per il resto si trascinano dietro la velenosa eredità, piena di contraddizioni, di un modo di pensare e di sentire, una serie di cliché culturali.

Rimozioni, revisioni, negazioni, fanno gargarismi con parole tese a ingannare avversari e contradditori. E, quando queste parole mancano o non bastano, ne inventano di nuove. Anche se non di rado raggiungono l’apice del ridicolo, si tratta innanzitutto di fellonia. Ma non ci si può sbagliare, nonostante i tailleur e le cravatte Armani sono proprio loro.

La XII disposizione transitoria e finale della Costituzione vieta la riorganizzazione del partito fascista. La conseguente legge n. 645/1952 non impedisce a chicchessia di dichiararsi fascista e perfino di esprimere una difesa elogiativa del fascismo. Per paradosso esiste da quasi ottant’anni un partito neofascista in Parlamento, ma nessun personaggio di spicco di questo partito, almeno di recente, ha avuto il coraggio di dichiararsi pubblicamente fascista.

Massimo Cacciari sostiene che la richiesta di pentimenti e di conversione è odiosa. Perfettamente d’accordo, nessun pentimento e men che meno richieste di conversione. Ma la richiesta c’è perché personaggi che ricoprono le più alte cariche istituzionali non si dichiarano apertamente per quello che sono e in ciò in cui credono, senza escamotage verbali. Non si tratta di un semplice dibattito semantico: come non cogliere un vulnus nella reticenza di questi personaggi? La domanda è importante.

Non si chiede loro di dichiararsi antifascisti perché non lo sono, né di purgarsi con l’olio di ricino, ma con la dolce Euchessina. Basta la parola: fascisti.

mercoledì 1 maggio 2024

Attrezzi di lavoro

 

Buon Primo Maggio. Piove a dirotto, ma di per sé non è un fatto straordinario. Che piova quasi ininterrottamente da febbraio forse un po’ anomalo lo è. Sì, l’ho sentito dire: la corrente del golfo del Messico ha trovato in mezzo all’Atlantico un vortice ciclonico che le ha impedito di raggiungere il suo amore nell’Artico.

Siamo tutti esperti di qualcosa, come una mia parente che fa la diagnosi a tutti: “non sono un medico, ma penso ...”. Ma pensasse ai cazzi propri. Non che la “scienza” sia molto meglio. La questione della verità e della menzogna. Anche sul clima. Ovvio che assistiamo a un cambiamento accelerato, quando mai s’è visto il riscaldamento acceso a maggio? Anche ai primi di giugno s’è per questo, qualche anno fa.

Se un “esperto” onesto dovesse dire “non lo so” in TV, non lo inviteranno a tornare. Ma un esperto onesto non si fa vedere nella TV spazzatura. La scienza si basa sul dubbio permanente. Questa oscillazione induce una certa confusione nella società, e dunque assistiamo, come durante il Covid, a delle vere e proprie pagliacciate.

È vero che la ricerca consiste nel porre domande, ma dopo un certo tempo si raggiunge un consenso, quantomeno all’ingrosso. Le controversie sono il carburante della scienza (vedi Pasteur e Koch) e la scienza è un modo collettivo per porre fine alle controversie. Ma in televisione si vedono solo tifosi. E anche noi tifiamo per questo o quello.

Non parliamo poi se tali controversie dovessero anche solo sfiorare questioni religiose (Galileo, Darwin, per citare famosi) o di natura politico-ideologica. In genere, per formarsi un’opinione, l’uomo medio spesso mette al primo posto il buon senso. Sappiamo però che il buon senso è fuorviante, altrimenti continueremmo a credere che il Sole giri attorno alla Terra.

Bisognerebbe dirlo anche a quelli che dicono di essere culo e camicia con la “realtà”. Te lo dimostrano dicendo che due più due fa sempre quattro. Dipende però da dove e come hai ricavato quei numeri. Se per esempio il “valore aggiunto” lo metti in rapporto con tutto il capitale, viene fuori che anche una biella, per il semplice motivo che si muove, produce valore. E dunque se qualcuno sfrega l’uccello al padrone, anche quel movimento produce “valore” (*).

Dicevo che la scienza consiste nel porre domande. Tuttavia la scienza non può rispondere a tutte le domande che ci poniamo. Ad esempio, cos’è una società giusta o come vivere liberi. Queste non sono domande su cui deciderà la scienza.

Il valore di verità delle idee nate in un particolare contesto sociale e ideologico non potrà mai essere emancipato da questo contesto senza una lotta ideologica. Ecco perché, ripeto per l’ennesima volta, la lotta ideologica è la lotta più importante. Non per far cambiare idea ai padroni e ai loro mantenuti (impossibile), ma per far uscire noi dalla caverna nella quale ci tengono incatenati con le loro bugie e i pregiudizi ripetuti continuamente e che creano dei bias cognitivi.

Cari lavoratori e care lavoratrici, in questa bella società il nostro lavoro è equiparato a quello di una biella o di qualsiasi aggeggio della cassetta degli attrezzi. E dunque pazienza se qualcuno di noi dovesse morire o diventare invalido; come per gli attrezzi di lavoro, se ne compra un altro. Come per gli attrezzi di lavoro, se non servono più, diventiamo inutili. I padroni, loro mai.

(*) «Smith aveva sostanzialmente ragione col suo lavoro produttivo e improduttivo, ragione dal punto di vista dell’economia borghese. Ciò che gli viene contrapposto dagli altri economisti è o sproloquio (per esempio Storch, Senior ancor più pidocchiosamente), e cioè che ogni azione produce comunque degli effetti, per cui essi fanno confusione tra il prodotto nel suo senso naturale e in quello economico; secondo questo criterio anche un briccone è un lavoratore produttivo poiché, mediatamente produce libri di diritto criminale; (per lo meno questo ragionamento è altrettanto giusto per cui un giudice viene chiamato lavoratore produttivo perché protegge dal furto). Oppure gli economisti moderni si sono trasformati a tal punto in sicofanti del borghese da volerlo convincere che è lavoro produttivo se uno gli cerca i pidocchi in testa o gli sfrega l’uccello, giacché quest’ultimo movimento gli terrà più chiaro il testone — testa di legno — il giorno dopo in ufficio» (Grundrisse, MEOC, XXIX, p. 203).